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venerdì 17 giugno 2011

Vicolo Moroni

Il nome di questo vicolo deriva dalla famiglia Moroni, originaria di Milano ma presente a Roma fin dal Trecento, che qui risiedette nel palazzo situato al civico 3. L'edificio fu acquistato alla fine del Quattrocento dal cardinale Giovanni Moroni che ebbe qui la propria dimora finché nel 1504 si trasferì, in qualità di titolare, nella chiesa di S.Maria in Trastevere, dopodichè il palazzo passò in proprietà alla sua famiglia. Per più di due secoli i Moroni vi abitarono finché il conte Michele, intorno al 1780, vendette l'edificio all'abate Navali; poi l'edificio passò in proprietà a monsignor Angelo Picchioni e successivamente alla famiglia Pozzi. Il palazzo, che sviluppa su tre piani ed uno ammezzato, è caratterizzato da un bel portone centinato con bugnato a cuscino e cartiglio in chiave, da altre tre porte, una delle quali murata, e da finestre rettangolari con davanzale su mensole: da ricordare che un tempo la facciata era caratterizzata dallo stemma della casata Moroni costituito da un albero moro celso in campo bianco.

Tra il 1888 ed il 1895 il palazzo ospitò, all'interno di alcuni locali al pianterreno con ingresso al civico 23, un teatro in legno denominato Nuovo Politeama Romano perché in sostituzione del Teatro Politeama Romano di piazza della Renella, demolito, quest'ultimo, nel 1888 in occasione della costruzione dei muraglioni del lungotevere. I proprietari del Nuovo Politeama Romano, Bartolomeo Filipperi e Giovanni Mancini, gestivano anche una famosa e caratteristica osteria, annessa al teatro, denominata "degli Orti Aureliani" (in onore delle vicine Mura Aureliane), frequentata da giornalisti, letterati ed artisti, che qui fondarono un'associazione denominata "La Lega dell'Ortografia". L'osteria, successivamente chiamata Trattoria del Lungotevere, era strettamente collegata alle fortune del teatro e le vendite del vino direttamente proporzionali al successo degli spettacoli: durante la rappresentazione del dramma Le Due Orfanelle o durante l'esibizione canora del cantante romanesco Orazietto delle Fornaci, il vino scorreva a fiumi, quasi incapace di placare la sete e l'eccitazione di quei popolani entusiasti. Successivamente nello stesso luogo si insediò il Teatro Intrastevere, caratterizzato da tre ambienti distinti e separati: la "sala teatro", la "sala caffé teatro" con un palcoscenico a passarella e la "sala performance" senza palcoscenico. Una presenza davvero particolare quanto inaspettata è fornita dai resti del tratto transtiberino delle Mura Aureliane, una presenza davvero rara su questa sponda del Tevere, che costituivano il prolungamento ed il congiungimento della cinta difensiva tra la vicina porta Settimiana ed il Tevere, dove, poche decine di metri a nord di ponte Sisto, si chiudeva il triangolo transtiberino.

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