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domenica 11 settembre 2011

Uomini in guerra. Le Forze Armate nella Guerra di Liberazione 1943-1945

Casa della Memoria e della Storia
Via di San Francesco di Sales, 5
I municipio
da Mercoledì 14 Settembre a Venerdì 30 Settembre
lunedì-venerdì ore 10.00-19.00 – sabato e domenica chiuso
 
La mostra racconta, in 16 pannelli, il periodo particolarmente tragico della Storia italiana che ha inizio il 25 luglio del 1943, data della caduta del fascismo, attraversa l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre dello stesso anno e termina con la liberazione delle grandi città del nord da parte delle forze armate italiane.
I pannelli in mostra illustrano la sequenza dei drammatici eventi successivi alla resa incondizionata dell’Italia, a cominciare dal tragico destino dei soldati italiani, abbandonati dai vertici militari senza ordini chiari in Francia, Corsica, Balcani, isole dello Ionio e Dodecaneso. Si continua con le testimonianze della ricostituzione del nuovo esercito, la formazione del I Raggruppamento Motorizzato - impiegato per la prima volta nella battaglia di Monte Lungo dell’8 dicembre 1943 - la costituzione dei Gruppi di Combattimento e la liberazione delle grandi città del nord compiuta dagli oltre 530.000 militari che presero parte alle operazioni in Italia.
Obiettivo di Uomini in guerra è la riflessione sul contributo delle nuove Forze Armate italiane alla lotta contro il nazifascismo, costata il sacrificio di 87.000 uomini e 640.000 prigionieri internati dai nazisti perché si rifiutarono di collaborare con la Repubblica sociale italiana. Furono inoltre molte migliaia i militari che scelsero di combattere nelle formazioni partigiane. Concludono la mostra pannelli dedicati a Marina, Aeronautica, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia e Vigili del Fuoco.
L’esposizione è promossa da Roma Capitale - Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico in collaborazione con Zètema Progetto Cultura ed è a cura di Lorenzo e Marco Lodi della Sezione di Roma ANCFARGL “Associazione Nazionale Combattenti Forze Armate Regolari Guerra di Liberazione” Salvo D’Acquisto e della Biblioteca della Casa della Memoria e della Storia.
La mostra è realizzata con il contributo della Regione Lazio - Assessorato alla Cultura, Arte e Sport e con il patrocinio di: Provincia di Roma, Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento Studi Storici Geografici Antropologici, Laboratorio Geocartografico "Giuseppe Caraci" e Vertical - Fondazione Italiana per la Cura della Paralisi onlus.
tel. 060608 tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00
sito ufficiale www.culturaroma.it
Ingresso libero
 

lunedì 18 luglio 2011

Vicolo dell'Atleta

Il nome di questo vicolo deriva dal ritrovamento, avvenuto intorno alla metà dell'Ottocento, della statua dell'atleta detto Apoxyomenos, dal greco colui che si pulisce il corpo con la strigile, un attrezzo a lama ricurva, perlopiù in avorio, che gli antichi utilizzavano per pulire la pelle dall'olio o dalla polvere, dopo il bagno o la lotta. La statua (nella foto 1), ora ai Musei Vaticani, è una copia in marmo dell'originale bronzeo dello scultore greco Lisippo (IV secolo a.C.), collocata originariamente all'ingresso delle Terme di Agrippa. Si narra che l'imperatore Tiberio fece trasferire la statua nella sua residenza personale ma fu costretto a restituirla per l'insistenza del popolo, che ad ogni sua apparizione la reclamava a gran voce. La statua oggi si presenta sostanzialmente in buone condizioni, a seguito degli interventi dello scultore Tenerani, che provvide al restauro dopo il ritrovamento, ed alla completa ed approfondita pulitura del 1994. L'Apoxyomenos fu rinvenuto insieme ad altri reperti, quali alcune parti di statue bronzee ed un cavallo, anch'esso bronzeo ed opera di Lisippo. Il vicolo, come già menzionato, assunse questo nome nel 1873 dopo il ritrovamento della statua, ma un tempo si chiamava vicolo delle Palme, per la presenza di tali alberi dinanzi alla vecchia Sinagoga degli ebrei: infatti fu proprio in questa zona che si stabilì, fin dai tempi della Repubblica, il primo nucleo della comunità ebraica, prima del suo spostamento nel rione S.Angelo, risalente al periodo medioevale. La Sinagoga fu fondata dal lessicografo Nathan ben Jechiel (1035-1106) e si presume che abbia avuto sede dove oggi è situata una bella casa medioevale (nella foto in alto), con loggia ad arcate su colonne ed una cornice ad archi su mensolette in pietra: a conferma di questa ipotesi la colonna centrale dell'arcata presenta ancora oggi alcuni caratteri ebraici scolpiti nel marmo. La Sinagoga andò distrutta a seguito di un grave incendio il 28 agosto 1268.

venerdì 15 luglio 2011

Piazza Mastai

La piazza prende il nome dalla famiglia di papa Pio IX, che fece costruire la Manifattura Pontificia dei Tabacchi (nella foto sopra) tra il 1860 ed il 1863, su progetto di Antonio Sarti. L'edificio, originariamente più lungo con i fabbricati laterali poi demoliti, si estendeva per 168 metri e presenta un fronte centrale con otto colonne doriche sovrastante l'alta base bugnata del pianterreno con ammezzato e sovrastata da una trabeazione con la scritta PIUS IX P M OFFICINAM NICOTIANIS FOLIIS ELABORANDIS A SLO EXTRUXIT ANNO MDCCCLXIII, ovvero Pio IX Pontefice Massimo costruì dalle fondamenta la fabbrica dei tabacchi nell'anno 1863. Un grande timpano triangolare conclude la facciata. Tra le colonne sono posti tre stemmi: al centro quello di Pio IX, a sinistra quello della Camera Apostolica ed a destra quello di monsignor Ferrari, Ministro delle Finanze. Il portale è piuttosto basso rispetto alla maestosità dell'edificio tanto che il pontefice, durante la sua visita del 14 ottobre 1869, ironizzò sulle ridotte dimensioni del portone esclamando: "Adesso che sono entrato dalla finestra, fatemi vedere dov'è la porta!". L'edificio fu completamente ristrutturato nel 1927 e poi ricostruito negli anni Cinquanta su progetto di Cesare Pascoletti: fu in questa occasione che vennero demoliti i fabbricati laterali. Il nuovo palazzo fu destinato alla direzione generale dei Monopoli di Stato. 


Gianni Rodari - da "Filastrocche lunghe e corte" - Editori Riuniti, Roma, 1981
In piazza Giovanni Mastai Ferretti
fanno il bagni i ragazzetti,
fanno i tuffi nella fontana
della tranquilla piazza romana.
Passano i filobus, la circolare,
pieni zeppi da scoppiare.
Dai finestrini i passeggeri
osservano i tuffi con sguardi severi
e minacciando col dito
dicono: "Guai! E' proibito!"
Ma io posso leggere nel loro cuore,
sotto la giacca, sotto il sudore.
E dentro c'è scritto: "Fortunati
quei diavoletti scatenati!
Sarebbe bello, invece di andare
al ministero a scribacchiare
tuffarsi con loro nella fontana
d'una tranquilla piazza romana,
dimentacare il caldo e i guai
nella fontana di Piazza Mastai."

venerdì 8 luglio 2011

Vicolo del Bologna

Il toponimo deriva dal falegname o chiavaro Alessandro detto il Bologna, perché bolognese, del Cinquecento, che prestò la propria opera per la fabbrica dell’Aracoeli. Caratteristiche alcune piccole memorie. […]

Al n. 37 vi è un mascherone con due putti ai lati su un edificio cinquecentesco con portone bugnato, ed un’edicola della Madonna. […]

Sull’edificio al n.7 vi è un’altra edicola mariana del Settecento con cherubini, con baldacchino e cupolino. Presso il n. 2 vi è il bando del 12 novembre 1735 col quale si viera di gettare immondizie nelle strade. Il testo è il seguente: «D’ordine di monsig. presidente /delle strade si proibisce a/quals.a persona di potar/ne gettare immondizie di sorte alcuna/in questo loco sotto pena di scudi/dieci d’oro e della carcerazione/dato questo di XII novembre 1735/Orsini notaro».

mercoledì 6 luglio 2011

Gianicolo

L'occupazione del Gianicolo, che la tradizione attribuisce al re Anco Marcio, era indispensabile alla difesa della città: il colle costituiva la naturale testa di ponte sulla riva destra del Tevere, di fronte al ponte Sublicio. Sul Gianicolo vennero sepolti noti personaggi: oltre al mitico re Numa, ricordiamo i poeti Ennio e Cecilio Stazio. Il colle fu sacro a Giano (donde il nome) che vi aveva istituito la sua città e vi aveva dedicati tanti altari quanti erano i mesi dell'anno. Giano, il dio bifronte, regnava, secondo la religione romana, su ogni luogo di passaggio (Giano deriva dal latino ianus, cioè porta, uscio) e, visto che il Gianicolo fungeva simbolicamente da porta della città verso l'esterno, la sua ubicazione in questo luogo è alquanto logica.Fu anche teatro degli eroici eventi che si svolsero nel 1849, quando l'esercito francese attaccò la città. I repubblicani di Garibaldi resistettero per settimane alle truppe francesi di gran lunga superiori, finché non furono sopraffatti: a ricordo di ciò, in piazzale G.Garibaldi sorge la grande statua equestre di Garibaldi (nella foto in alto), opera di Emilio Gallori ed inaugurata nel 1895. Alla base della statua vi è scritta la celebre frase "O Roma o morte".
 Secondo un'antica tradizione, il mezzogiorno viene annunciato a Roma da un colpo di cannone sparato dalla terrazza del Gianicolo.

martedì 5 luglio 2011

Fontana della botte




In via della Cisterna, inquadrata in un arco di travertino, troviamo la Fontana della Botte. Il monumento idrico è formato da una base sulla quale poggia un “caratello” la cara, vecchia, botte da vino. Da un foro posto al centro fuoriesce, allegro e fresco, un fiotto d'acqua che si riversa nella vasca sottostante a forma di tino da mosto.
La botte centrale è affiancata da due misure per il vino di un litro ciascuna da cui esce acqua. La Fontana della Botte venne realizzata, nel 1927, dall'architetto Pietro Lombardi in allusione alla caratteristica di questa zona della capitale, dove pullulavano osterie e trattorie. La fontana fu commissionata all'architetto dal Comune di Roma nell'ambito di una serie di opere volte a celebrare, allusivamente, i rioni di roma e le loro caratteristiche.
Una piccola nota di curiosità, poi, ce la può fornire il modo come, a Roma, venivano chiamate le misure del vino: un decimo di litro era un sospiro o un sottovoce; un quinto di litro era, invece, chirichetto mentre un quarto era un quartino; il mezzo litro era detto fojetta; il tubbo era un litro mentre due litri di vino erano chiamati barzilai dal nome dell'On. Barzilai (1860-1939) che, durante le sue campagne elettorali era uso offrire vino.

venerdì 1 luglio 2011

Vicolo del Cinque

                                                     Palazzo del Cinque ad angolo con via del Moro

Vicolo del Cinque collega piazza Trilussa a via della Scala e prende il nome dall'edificio proprietà della nobile famiglia romana dei del Cinque, di cui si ha una prima menzione nel 1416 con un Vincenzo, priore dei caporioni di Trastevere; in seguito molti rappresentanti della famiglia furono conservatori e un Niccolò fu a capo del Senato nel 1552, ma fu con Gian Paolo, nel 1759, che il casato venne iscritto al patriziato romano con il titolo di marchese. L'edificio, a due piani, ha conservato nel tempo le sue rinascimentali caratteristiche originarie, nonostante i numerosi interventi di restauro. 
A questo vicolo è legata la leggenda i un carabiniere che nel 1920 fu visto entrare in un portone dal quale non fu mai più visto uscire.

mercoledì 29 giugno 2011

Fontana dell'Acqua Paola


La fontana (o “fontanone”) dell’Acqua Paola si trova a Roma, nel punto in cui la via Garibaldi raggiunge la sommità del Gianicolo, poco prima di Porta San Pancrazio. Si tratta della mostra terminale dell’acquedotto dell’”Acqua Paola”, ripristinato tra il 1608 e il 1610 da papa Paolo V.
All’inizio del XVII secolo le aree a destra del Tevere erano ancora scarsamente approvvigionate d’acqua, e la dotazione idrica delle zone di Trastevere, del Vaticano e di Borgo fu uno dei primi problemi affrontati dal papa Paolo V appena eletto. In realtà, come già per alcuni dei suoi recenti predecessori, il fine ultimo del pontefice era di poter disporre di una cospicua riserva d’acqua corrente per i giardini della sua residenza vaticana, ma il Comune di Roma accettò di contribuire alle spese per il ripristino dell’antico acquedotto Traiano che, ricevendo acqua dal lago di Bracciano, avrebbe consentito l’autonomia idrica delle zone a destra del fiume. Iniziati i lavori nel 1608, il progetto fu portato a termine nel 1610.
Commissionata a Giovanni Fontana, che la realizzò tra il 1611 e il 1612 con la collaborazione di Flaminio Ponzio, la mostra terminale del nuovo acquedotto ricalca molto da vicino il progetto della Fontana dell'Acqua Felice, la mostra terminale dell’acquedotto voluto da papa Sisto V, realizzata nel 1587 dallo stesso Giovanni Fontana. Il progetto originale prevedeva che l’acqua venisse raccolta in cinque vasche posizionate in corrispondenza di ciascun arco, ma nel 1690 papa Alessandro VIII commissionò a Carlo Fontana, nipote di Giovanni, la realizzazione di un progetto di ampliamento dell’opera. In occasione dello stesso intervento si provvide anche alla creazione, con opere di terrazzamento, dell’ampio piazzale antistante la fontana, che fino ad allora era quasi a strapiombo sul costone del colle.

martedì 28 giugno 2011

Palazzo Corsini alla Lungara




Situato nel rione di Trastevere, proprio di fronte alla Villa Farnesina, fu costruito negli anni tra il 1730 e il 1740 da Ferdinando Fuga per la famiglia fiorentina dei Corsini, rielaborando e ingrandendo la precedente villa della famiglia Riario, risalente al XV secolo.
Nel XVII secolo il palazzo era stato abitato da Cristina di Svezia, la quale avrebbe ospitato nel giardino le prime riunioni di quella che sarebbe poi divenuta l'Accademia dell'Arcadia (la cui sede è attualmente poco lontano, alle pendici del Gianicolo).
Nel 1736 l'edificio e il giardino furono acquistati dal cardinale fiorentino Neri Maria Corsini, nipote di Clemente XII, che affidò i lavori di ristrutturazione del palazzo al conterraneoFerdinando Fuga, che per il papa stava già lavorando al Palazzo del Quirinale e al Palazzo della Consulta. Fuga trasformò la piccola villa suburbana dei Riario in una vera e propria reggia, raddoppiando l'estensione della facciata e ovviando alla notevole larghezza con l'aggiunta di dieci lesene giganti, più addensate in corrispondenza dell'asse centrale. Più movimentata è la facciata posteriore, rivolta verso i vastissimi giardini, con tre corpi di fabbrica aggettanti, di cui quello centrale, occupato dal monumentale scalone, uno dei più belli di Roma, è particolarmente sporgente. Lo scalone, con le sue grandi finestre, funge anche da belvedere panoramico sui giardini, posti in pendenza sul colle del Gianicolo.
Durante l'occupazione napoleonica di Roma, il palazzo ospitò Giuseppe Bonaparte, fratello dell'imperatore.
All'interno del palazzo sono oggi collocate la Galleria Corsini (opere di Beato Angelico, Jacopo Bassano, Caravaggio, Rubens, Jusepe de Ribera ecc.) e la sede dell'Accademia dei Lincei con la relativa Biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana. Nel giardino ha sede l'Orto botanico di Roma.

lunedì 27 giugno 2011

Salita di S. Onofrio


La Salita Sant'Onofrio al Gianicolo si trova a Roma nel rione Trastevere. Non deve essere confusa con la omonima via S. Onofrio che si trova in prossimità della via Cassia.
La Salita Sant'Onofrio è una stretta strada in salita, con a tratti delle scalinate, che, fiancheggiata dall'ex palazzo Salviati, congiunge via della Lungara al Gianicolo sulla cui sommità si trova la Chiesa di Sant'Onofrio da cui la strada prende il nome. Da questa posizione si gode una vista panoramica eccezionale sul centro storico di Roma su cui in basso domina la cupola della Basilica di San Pietro.
La strada fu fatta costruire dal gerolamino Jacobelli nel 1446 per raggiungere più comodamente la suddetta Chiesa, non più eremo ma divenuta santuario difficilmente raggiungibile dai devoti, da quando il suo fondatore Beato Nicola da Forca Palena passò con i suoi compagni alla Congregazione diSan Gerolamo, fondata dal Beato Pietro Gambacorta da Pisa.
Sisto V nel 1588 elevò la Chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo a titolo presbiteriale e sistemò la strada che dalla porta Santo Spirito conduce a Sant'Onofrio. La strada fu poi fatta lastricare daClemente VIII nel 1600 in occasione del Giubileo con il contributo delle elemosine di alcuni fedeli, fra i quali il Cardinale Alessandro Peretti e Camilla Peretti, la potente sorella di Sisto V a cuiCastore Durante (1529-1590) dedicò i suoi due celebri libri: Herbario nuovo e Il tesoro della sanità.
Sul lato destro della Salita di Sant’Onofrio salendo al Gianicolo si trovava un tempo ilConservatorio di Santa Maria del Rifugio per le cosiddette “penitenti”. Questo Conservatorio era stato fondato nel 1703 da Padre Bussi della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. Fu trasferito dalla primitiva sede di Vicolo del Consolato dei Fiorentini nel palazzo fatto costruire dalCardinale Giori e poi acquistato come sede del luogo pio che aveva lo scopo di redimere le ex prostitute.
Al numero civico 38 della Salita di Sant'Onofrio si trova la Casa Madre della Congregazione delle Suore di Santa Dorotea dove nella Cappella è esposto il corpo incorrotto della Santa Paola Frassinetti fondatrice dell'ordine.

Villa Spada

Al civico 1 di via Giacomo Medici si trova villa Spada (nella foto sopral'ingresso alla palazzina), costruita nel 1639 dall'architetto Francesco Baratta, su commissione di Vincenzo Nobili. La denominazione villa Spada comparve per la prima volta sulla pianta del Nolli nel 1748, nella quale si può osservare la proprietà attraversata longitudinalmente da due vialetti rettilinei e la palazzina con i giardini, appartenente al principe don Giuseppe Spada Varalli. Nel 1849 l'edificio divenne sede del quartier generale di Garibaldi, dopo la rovina di villa Savorelli. Villa Spada era tenuta dal battaglione dei Bersaglieri Lombardi, comandati dal colonnello Luciano Manara, di 24 anni, eroe delle Cinque Giornate di Milano e poi Capo di Stato Maggiore di Garibaldi. Nella notte tra il 29 e il 30 giugno i francesi sferrarono l'attacco decisivo: dopo la disfatta di villa Savorelli, come sopra menzionato, fu la volta di villa Spada. I francesi furono dapprima respinti da un contrattacco guidato da Garibaldi e da Manara, ma tornarono all'attacco con forze preponderanti. La villa fu squassata dalle cannonate e crivellata dal violento fuoco di fucileria. Manara fu ucciso da un colpo di carabina, ma i suoi bersaglieri continuarono a resistere. Era il 30 giugno 1849 e la sera stessa l'Assemblea della Repubblica decretava la cessazione della resistenza. La villa fu ricostruita secondo i disegni originali: la facciata, di colore chiaro in contrasto con le decorazioni grigio-pietra, è preceduta da una doppia scalinata a tenaglia, con al centro una piccola fontana a conchiglia, che conduce all'ingresso principale, una porta incorniciata sovrastata da uno stemma gentilizio. Ai due lati del portone, nella parte inferiore della facciata, si trovano due finestre sormontate da cornici ovali, mentre nella parte superiore due cornici vuote sormontate da un'aquila. Nell'attico, tra due piccole finestre, un'epigrafe latina così recita: "Villa Nobili. Viandante sappi che qui dove vedi la casa edificata da Vincenzo Nobili per ricreare gli animi tra le bellezze della natura, Cesare Augusto costruì l'emissario dell'acqua chiamata con il suo nome, originata dal lago Alsietino, quattordici miglia da Roma e condotta nella regione di Trastevere. È tutto. Va lieto e addio. Anno 1639"; naturalmente si fa riferimento all' Acquedotto Alsietino. Attualmente villa Spada è sede dell'Ambasciata d'Irlanda presso la Santa Sede.

Torre degli Anguillara


La Torre degli Anguillara e relativo palazzo sono situati in piazza Sidney Sonnino e costituiscono un unico complesso. Nel loro più antico assetto risalgono al XIII secolo: la prima parte del fabbricato è quella sul lato verso il Tevere (nella foto sopra), nel quale è ancora riconoscibile il portico con colonne a capitelli in forma di foglie. Fu il conte Everso II a ricostruire quasi dalle fondamenta il palazzo con torre, intorno al 1455, creando, oltretutto, la parte di fabbrica su via della Lungaretta ed imprimendo ovunque lo stemma con le due anguille incrociate. Nel 1538 il palazzo passò ad Alessandro Picciolotti da Carbognano, amanuense della corte pontificia e vassallo degli Anguillara. Nel 1542 il complesso venne duramente danneggiato da un terremoto e da allora entrò in crisi. Divenne stalla, macello, cantina: prova di questo stato di degrado furono i nomignoli di Carbognano e Palazzaccio con i quali i trasteverini indicarono la costruzione. Infine, nell'Ottocento, la struttura passò ai Forti, una famiglia della borghesia trasteverina, la quale vi insediò una fabbrica di smalti e vetri colorati e la rese nota per un presepio particolarmente artistico. Nel 1887 il complesso fu espropriato dal Comune di Roma, che ne curò il restauro nel 1902 affidandolo all'architetto Fallani. Risultò una ristrutturazione un pò artefatta, specialmente nella merlatura della torre. Il portale quattrocentesco è sovrastato da una finestra con uno stemma di Everso II; una scalinata coperta conduce alla loggia ad arcate. La facciata su via della Lungaretta ha conservato le antiche finestre crociate, ma quelle centinate al pianterreno sono un rifacimento. Nel 1921 il complesso fu affidato alla "Casa di Dante", una società promotrice di studi danteschi. 

sabato 25 giugno 2011

Giggi Zanazzo


Giggi Zanazzo, all'anagrafe Luigi Antonio Gioacchino Zanazzo, (Roma, 31 gennaio 1860Roma, 13 dicembre 1911), è stato un poeta, commediografo, antropologo e bibliotecario italiano. Studioso delle tradizioni del popolo romano e poeta in romanesco, è considerato, insieme con Francesco Sabatini, il padre fondatore della romanistica. Alla sua scuola mossero i primi passi Trilussa e i più bei nomi della poesia dialettale della Roma d'inizio secolo.


Quanno ve se fanno nere l'ógna de le mano, e cciavete l'occhi sbattuti e accallamarati, e la lingua spòrca, allora è ssegno che nun ve sentite troppo pe' la quale..
Presempio, a le donne, quanno nu' stanno bbene, la féde jé s'appanna; e, ne lo spostalla un tantinèllo dar déto, ce se troveno sótto un cerchietto nero. Allora, a cchi pprème la salute, la prima cosa che ddeve fa', appéna nun se sènte sicónno er sòlito suo, è dde pijasse un bon purgante.
De tutte le purghe, la ppiù mmèjo perché llava lo stommico, sbòtta, e pporta via 'gni cosa come la lescìa, è ll'ojo de rìggine.
Quanno, sorèlla, una quarsìasi ammalatia che tte vó vvienì', trova pulito lo stòmmico, nun te pô ffa' ttanto danno nun solo, ma tte se leva d'intorno ppiù ppresto.


Da "Li quattro mejo fichi der bigonzo"

TRESTEVERINO II

Io, frater caro so’ tresteverino;
e tutto me pòi dì forché pidocchio;
quanno facevo er carettiere a vino,
l’orloggio solo me costava ‘n occhio:

marciavo che parevo un signorino!
Carzoni corti inzinent’ar ginocchio,
giacchetta de velluto sopraffino,
fibbie d’argento e scarpe co’ lo scrocchio:

er fongo a pan de zucchero, infiorato;
un fascione de seta su la panza;
e ar collo un fazzoletto colorato:

portavo tanti anelli d’oro ar deto
e catene, che senza esaggeranza,
parevo la Madonna de Loreto.

venerdì 24 giugno 2011

Americo Giuliani

Americo Giuliani, o più raramente Amerigo, (Magliano de' Marsi, 2 gennaio 1888  7 marzo1922), è stato un poeta italiano.
Poeta romanesco, ricordato per alcuni monologhi, tra i quali, il più famoso, Er fattaccio, Americo Giuliani nacque a Rosciolo, frazione di Magliano de' Marsi, nella provincia dell'Aquila. Trasferitosi a Roma ed impiegato in un botteghino del lotto, compose canzoni (versi e musica) e poesie romanesche, spesso patetiche e di presa facile ed immediata.
Malato di tubercolosi, morì, in giovane età, a trentaquattro anni.

                                                       ER FATTACCIO
(Nino, giovane operaio meccanico, ammanettato davanti al delegato, pallido,
disfatto, con voce plorante esclama
) 

Sor delegato mio nun so' un bojaccia! 
Fateme scioje... v'aricconto tutto... 
Quann'ho finito, poi, m'arilegate: 
ma adesso, pe' piacere!... nun me date 
st'umiljazione doppo tanto strazio!... 

(pausa) 

V'aringrazio!! 
Quello ch'ha pubblicato er «Messaggero» 
sur fattaccio der vicolo der Moro 
sor delegato mio... è tutto vero!! 

(pausa breve) 

No p'avantamme, voi ce lo sapete, 
so' stato sempre amante der lavoro; 
e è giusto, che, pe' questo, me chiedete, 
come la mano mia ch'è sempre avvezza 
a maneggià la lima còr martello, 
co' tanto sangue freddo e sicurezza 
abbia spaccato er core a mi' fratello. 

(pausa triste) 

Quanno morì mi' padre ero fanello... 
annavo ancora a scola e m'aricordo 
che, benché morto lui, 'nder canestrello, 
la pizza, la ricotta, er pizzutello... 
nun ce mancava mai! Che, quella santa... 
se faceva pe quattro, e lavorava... 
e la marinarella, le scarpette 
a di' la verità, nun ce mancava! 

Ho capito! Me dite d'annà ar fatto 
un momento... che adesso l'aricconto: 


Abbitavamo ar vicolo der Moro 
io, co' mi' madre e mi' fratello Giggi. 
La sera, noi tornamio dar lavoro; 
e la trovamio accanto a la loggetta 
bona, tranquilla, co' quer viso bianco, 
che cantava, e faceva la carzetta! 
E ce baciava in fronte, e sorrideva 
e ce baciava ancora e poi cantava: 

«Fior de gaggia
io so' felice sortanto co' voi due
ar monno nun ce sta che ve somija!»
. 


E mentre sull'incudine, er martello, 
sbatteva tutto allegro, e rimbarzava, 
pur'io ndell'officina ripetevo: 


«Fiorin fiorello
la vita tutta quanta, manco a dillo,
l'ho da passà co' mamma e mi' fratello»
. 

(pausa triste) 

Poi, Giggi se cambiò!!! se fece amico 
co' li più peggio bulli dell'urione 
lassò er lavoro.... bazzicò Panico, 
poi fu proposto pe' l'ammonizzione. 
De più, me fu avvisato dalla gente, 
che quanno io nun c'ero, nú' fratello 
annava a casa pe' fa er prepotente!! 
Per «garaché», ... l'amichi... l'osteria... 
votava li cassetti der comò 
e quer poco che c'era lì in famija 
spariva a mano a mano!!! Lei però 
nun rifiatava, nun diceva gnente.... 
ma nun rideva più... più nun cantava 
mì madre bella, accanto a la loggetta! 
La ruta... li garofoli... l'erbetta 
ch'infioraveno tutto er barconcino, 
tutto quanto sfioriva, e se seccava 
insieme a mamma che se consumava!! 

(pausa) 

Un giorno je feci: - A ma', che ve sentite? 
voi state male... perché nun me lo dite? 
Nu' rispose: ma fece un gran sospiro, 
e l'occhi je s'empirono de pianto!! 
Nèr vedella soffrì, pur'io soffrivo! 
ma ch'avevo da fà?... chiamai er dottore. 
Disse che er male suo era qui: 
«ner core»... 
e che 'nse fosse presa dispiacere 
se 'n voleva morì!!! La stessa sera 
vorsi parlà co' Giggi, lo trovai, je feci: 
- A Gi', mamma sta male assai ... 
nun me la fa morì de dispiacere ... 
je voio troppo bene... e tu lo sai 
che si morisse, embè... che t'ho da di'? 
sarebbe come er core se spezzasse!... 
Mentre lei, guarirebbe si tornasse 
er tempo de 'na vorta!... de quann'eri 
bono... lavoratore... t'aricordi? 

(pausa accorata) 

Giggi me fece 'na risata in faccia: 
arzò le spalle, e poi me disse: - Senti, 
senza che me stai a fa' tanti lamenti 
faccio come me pare! E poi de' resto 
si 'nte va be', nun me guardà più in faccia! 
E me lassò accusì, li sur cantone, 
cor core sfranto!! Ritornai da mamma 
e la trovai davanti alla Madonna... 
che pregava, e piagneva! Poverella... 
quanto me fece pena!! In quer momento 
per vicoletto scuro e solitario, 
'ntesi Giggi cantà, co 'n'aria bulla: 

«Fiorin d'argento
Accoro mamma e nun m'importa tanto
pe l'occhi tua ciò perso er sentimento»
. 

(con impeto) 

Allora feci: - A ma', se mi' fratello 
ritorn'a casa pe' fa' er prepotente 
ve giuro che succede 'no sfracello! - 
No... no... fijetto mio bello, 
Giggi nun è più lui... è 'na passione... 
so' l'amichi che l'hanno straportato!!! 
Me dette un bacio, la benedizione... 
e poi, più bianca assai de' la cera, 
pe nun piagne disse - Bona sera! 

(Pausa lugubre, pianissimo) 

ler'ammatina che successe er fatto, 
sarà stato... che so... verso le sette ... 
me parve de senti come 'na lotta! ... 
Mamma diceva: - A Gi'.... 'nte compromette 
co' tu fratello ... damme qui er brillocco... 
è l'urtimo ricordo de tu padre!!... 
e nun te scordà ... che so' tu' madre - 
- E che m'importa a me de mi' fratello? 
Si vò assaggià la punta der cortello 
venga pure de qua! - Mbè... fu un momento: 
sarto dar letto... spalancai la porta... 
e me metto de faccia a mi' fratello, 
co' le braccia incrociate sopra ar petto! 
In quer momento me parve de senti 'na cosa calla ... 
'na cosa calla che saliva in faccia. 
Poi m'intesi gelà! Fece - Che vôi.... - 
- Io vojo che te ne vai... 
senza che fai più tanto er prepotente 
senza che me stai a fa' tanto er bojàccia!... - 
Mi' madre prevedendo la quistione 
se mise in mezzo pe' portà la pace: 
ma Giggi la scanzò co' no spintone, 
e poi me fece: - A voi sor santarello 
ve ce vorà na piccola lezione! 
E detto questo, aprì er cortello 
e me s'avventò addosso!!!... 
Mamma se stava pe' rimette immezzo 
infrattanto che Giggi dà la botta... 
io la scanzo... ma... mamma dà 'no strillo 
e casca a longa longa... 

Detti un urlo de belva e je strillai - 
- Ah bojaccia!!!... infamone scellerato... 
m'hai ammazzato mamma!!! e me buttai 
come 'na 'jena sopra a mi' fratello: 
j'agguantai la mano ... e je strappai er cortello... 
Poi viddi tutto rosso ... e... menai... menai!!!... 

(si copre il viso con raccapriccio; ma l'eco lontano di una marcia funebre
che viene dalla strada lo riscuote: e pallido per l'emozione, balbetta)
 

Sarà mamma che passa!! 

(scoppia in un irrefrenabile singhiozzo) 

Mamma! Mamma mia! 

(poi risoluto ar delegato) 

Mannateme ar Coeli. 

giovedì 23 giugno 2011

S. Maria della Scala

La fondazione della chiesa di S.Maria della Scala fu conseguenza di una serie di episodi che caratterizzarono questa zona di Trastevere alla fine del XVI secolo. Narra la tradizione che, nello stesso luogo dove oggi sorge l'edificio, vi fosse, accanto alla scala d'ingresso ad una casa, il ritratto di una Madonna alla quale si attribuivano un numero impressionante di miracoli. Il fenomeno assunse proporzioni così elevate che papa Clemente VIII fu quasi costretto ad edificare una chiesa nel luogo oramai meta di numerosi pellegrini in cerca di guarigioni miracolose. Una prima costruzione della chiesa e dell'annesso convento si ebbe all'epoca dei miracoli, ossia nel 1593, su progetto di Francesco Capriani da Volterra per volere dei Carmelitani Scalzi (che tuttora la officiano), ma, a causa di una serie di contrattempi (tra cui anche la morte del Capriani), i lavori terminarono soltanto nel 1610 ad opera di Girolamo Rainaldi.(nella foto 2), la più antica farmacia di Roma giunta integra fino ai nostri giorni. Originariamente istituita per le necessità dei frati, che coltivavano nell'orto le piante medicinali necessarie alla loro salute, alla fine del Seicento fu aperta a tutti e divenne così famosa che vi ricorrevano anche principi, cardinali e perfino i medici dei pontefici. Nell'atrio e sulla porta d'ingresso vi sono ancora i ritratti di fra' Basilio della Concezione, farmacista del Settecento che consolidò la fama dell'esercizio inventando celebri medicamenti come l'acqua antipestilenziale e quella contro l'isterismo. Le maioliche colorate, i vasi, le bilance, gli alambicchi di distillazione, i mortai sono quelli originali, mentre sono del Settecento l'arredamento, le scaffalature, le vetrine ed il bancone. Tra i cimeli più singolari vi è il vaso della theriaca, un farmaco inventato da Andromaco, medico di Nerone, composto di 57 sostanze diverse fra cui carne di vipera maschio, considerata un infallibile antidoto contro i veleni; inoltre, vi è un rarissimo erbario, Trattato delli semplici, attribuito allo stesso fra' Basilio. Sulle ante degli armadi vi sono ricordate alcune visite celebri come quella di Vittorio Emanuele I, avvenuta il 27 ottobre 1802. Chiesa e convento furono adibiti, durante la Repubblica Romana del 1849, ad ospedale: qui vi morì Luciano Manara ed il moro seguace di Garibaldi, Andrea Aguyar.

mercoledì 22 giugno 2011

Via di S. Dorotea


La via è dedicata alla chiesa che qui sorge (nella foto sopra), anche se la sua dedica completa è ai Ss.Dorotea e Silvestro, come indicato anche sull'iscrizione sopra il portale: OMNIPOTENTI DEO IN HONOREM SS. SYLVESTRI PAPÆ AC DOROTHEÆ VIRGINIS ET MARTYRIS. La chiesa è di origini assai antiche, probabilmente della fine dell'XI secolo, anche se allora il suo nome era S.Silvestro ad portam Septimianam, per la sua vicinanza alla porta Settimiana. La dedica a S.Dorotea fu aggiunta nel Cinquecento, quando vi fu inumato il corpo della santa decapitata in Cesarea di Cappadocia sotto l'imperatore Diocleziano (III-IV secolo). L'attuale edificio fu costruito, con l'annesso convento, tra il 1750 e il 1756 dall'architetto Giovan Battista Nolli, ben più famoso per la sua importantissima pianta di Roma. La concava facciata della chiesa è inquadrata da quattro grandi paraste che sorreggono un piccolo attico ed un grande timpano ribassato; l'interno è ad una navata con sei altari laterali ed una profonda abside. Ai piedi dell'altare maggiore vi è conservata la salma del Nolli, mentre sotto l'altare vi è quella di S.Dorotea. La parte centrale della navata è coperta da una volta molto allungata a pianta ottagonale: quattro larghi costoloni la dividono in altrettante sezioni decorate da Giacinto Bocchetti nel 1931 con episodi della Vita di S.Dorotea e di altri santi francescani. Della struttura esterna emerge soltanto l'alta lanterna cilindrica, coperta con un tetto di tegole, su cui si aprono quattro finestre ad arco. In questa chiesa fu fondata nel 1497 la Compagnia del Divino Amore che, fra le altre generose iniziative, creò l' Ospedale degli Incurabili. Interessante notare che nelle stanze attigue alla sagrestia S.Giuseppe Calasanzio, nel 1597, istituì la prima scuola popolare gratuita d'Europa, come ricordato sulla lapide apposta sul portale laterale: L'ATTIGUA CHIESA FERVIDE ACCOLSE LE PREGHIERE E ASSIDUI I VOTI DI S.GIUSEPPE CALASANZIO MENTRE QUESTA CASA PARROCCHIALE OSPITAVA NASCENTI LE SUE SCUOLE PIE DA LUI PER LA PRIMA VOLTA NELL'AUTUNNO DEL 1597 APERTE QUI AI FIGLI DI TUTTO IL POPOLO PRECORRENDO I TEMPI CON INTUITO SAPIENTE DI CRISTIANO BENEFATTORE - I PADRI E GLI EX ALLIEVI DELLE SCUOLE PIE NEL 350° POSERO - 27 NOVEMBRE 1947. Vogliamo ricordare che S.Dorotea era una di quelle chiese alle porte delle quali era uso affiggere, fino al 1870, gli elenchi dei non adempienti al precetto pasquale. La via custodisce anche una casa quattrocentesca (nella foto 1), situata al civico 20, ad angolo con via di Porta Settimiana, con una caratteristica finestra incorniciata da un arco a sesto acuto riccamente decorato: la tradizione vuole che questa fosse la casa della Fornarina, figlia di un fornaio che lavorava nella bottega del piano terra, dove una colonna d'epoca romana, lasciata a vista, mostra le tracce di un antico portico. La Fornarina, sempre secondo la tradizione, sarebbe stato il soprannome della bella Margherita Luti o Luzzi, la quale si affacciava proprio da quella finestrella ad arco per salutare il suo celebre amante, ovvero Raffaello Sanzio, che la immortalò in vari suoi affreschi, tra i quali probabilmente il più famoso è proprio laFornarina, conservato nella Galleria Nazionale di Arte Antica di palazzo Barberini. La tradizione collega alla famosa Fornarina altre due case: una nella vicina via del Cedro e l'altra a via del Governo Vecchio, per cui diventa davvero difficile discernere la verità dalla leggenda: l'unica conferma sembra essere il ritiro della bella Margherita nel monastero diS.Apollonia.

lunedì 20 giugno 2011

S. Giovanni della Malva




La chiesa di S.Giovanni della Malva è molto antica: menzionata nel XII secolo in una bolla papale di Callisto II con il nome diS.Johannis prope portam (ovvero in prossimità della porta Settimiana) come filiale di S.Maria in Trastevere e nel XIV secolo come S.Johannes ad Janiculum (ossia presso il Gianicolo), rimane invece incerto il toponimo attuale: secondo alcuni si riferisce alle piante di malva che crescevano tra le fessure dell'edificio, secondo altri ad una famiglia Malva che avrebbe vissuto nelle vicinanze. In occasione del Giubileo del 1475 papa Sisto IV la fece restaurare perché la contemporanea costruzione di ponte Sisto pose la chiesa lungo il percorso che conduceva i pellegrini, con il successivo tracciato della via Sancta, al Vaticano. Purtroppo nei secoli successivi la chiesa fu progressivamente abbandonata tanto che nel 1818 venne presa la decisione di demolirla: nel 1851 fu ricostruita ex novo, per volontà dei duchi Grazioli, dall'architetto Giacomo Moraldi. L'antica chiesa a tre navate venne così sostituita dall'attuale a croce greca con cupola semisferica: sull'atrio, separato dalla chiesa da due colonne corinzie, si trova la cantoria. La decorazione interna è affidata ad alcune tele risalenti al Settecento e all'Ottocento, che sostituirono quelle più antiche, andate purtroppo distrutte: sull'altare maggiore è situata una pala raffigurante la Vergine tra i Santi Giovanni Battista ed Evangelista, di autore ignoto. La facciata si presenta a tre ordini verticali: su quello centrale, sopra il portale d'ingresso, è situato un bassorilievo anch'esso raffigurante la Vergine con S.Giovanni Battista e S.Giovanni Evangelista, mentre sui due ordini laterali si trovano due bassorilievi con i simboli iconografici dei due santi, un agnello per S.Giovanni Battista ed un'aquila per S.Giovanni Evangelista. Sull'architrave si trova l'epigrafe DEO SACR IN HONOR DEIP IMMACVL ET SS IOAN BAPT ET EV, mentre al centro del timpano triangolare che conclude la facciata è situato lo stemma dei Grazioli. Dal 1° agosto 2004 la chiesa è la sede della Comunità albanese a Roma.