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lunedì 18 luglio 2011

Vicolo dell'Atleta

Il nome di questo vicolo deriva dal ritrovamento, avvenuto intorno alla metà dell'Ottocento, della statua dell'atleta detto Apoxyomenos, dal greco colui che si pulisce il corpo con la strigile, un attrezzo a lama ricurva, perlopiù in avorio, che gli antichi utilizzavano per pulire la pelle dall'olio o dalla polvere, dopo il bagno o la lotta. La statua (nella foto 1), ora ai Musei Vaticani, è una copia in marmo dell'originale bronzeo dello scultore greco Lisippo (IV secolo a.C.), collocata originariamente all'ingresso delle Terme di Agrippa. Si narra che l'imperatore Tiberio fece trasferire la statua nella sua residenza personale ma fu costretto a restituirla per l'insistenza del popolo, che ad ogni sua apparizione la reclamava a gran voce. La statua oggi si presenta sostanzialmente in buone condizioni, a seguito degli interventi dello scultore Tenerani, che provvide al restauro dopo il ritrovamento, ed alla completa ed approfondita pulitura del 1994. L'Apoxyomenos fu rinvenuto insieme ad altri reperti, quali alcune parti di statue bronzee ed un cavallo, anch'esso bronzeo ed opera di Lisippo. Il vicolo, come già menzionato, assunse questo nome nel 1873 dopo il ritrovamento della statua, ma un tempo si chiamava vicolo delle Palme, per la presenza di tali alberi dinanzi alla vecchia Sinagoga degli ebrei: infatti fu proprio in questa zona che si stabilì, fin dai tempi della Repubblica, il primo nucleo della comunità ebraica, prima del suo spostamento nel rione S.Angelo, risalente al periodo medioevale. La Sinagoga fu fondata dal lessicografo Nathan ben Jechiel (1035-1106) e si presume che abbia avuto sede dove oggi è situata una bella casa medioevale (nella foto in alto), con loggia ad arcate su colonne ed una cornice ad archi su mensolette in pietra: a conferma di questa ipotesi la colonna centrale dell'arcata presenta ancora oggi alcuni caratteri ebraici scolpiti nel marmo. La Sinagoga andò distrutta a seguito di un grave incendio il 28 agosto 1268.

lunedì 11 luglio 2011

Poesie di Aldo Fabrizi

Magnà e Dormì



So’ du’ vizietti, me diceva nonno,
che mai nessuno te li pò levà,
perché so’ necessari pe’ campà
sin dar momento che venimo ar monno.
Er primo vizio provoca er seconno:
er sonno mette fame e fà magnà,
doppo magnato t’aripija sonno
poi t’arzi, magni e torni a riposà.
Insomma, la magnata e la dormita,
massimamente in una certa età,
so’ l’uniche du’ gioje de la vita.
La sola differenza è questa qui:
che pure si ciài sonno pòi magnà,
ma si ciài fame mica pòi dormì.

Chi sarà stato?

Ho letto cento libri de cucina.
de storia, d'arte, e nun ce nè uno solo
che citi co' la Pasta er Pastarolo
che unì pe' primo l'acqua e la farina.

Credevo fosse una creazione latina,
invece poi, m'ha detto l'orzarolo,
che l'ha portata a Roma Marco Polo
un giorno che tornava dalla Cina.

Pe' me st'affare de la Cina è strano,
chissà se fu inventata da un cinese
o la venneva là un napoletano.

Sapessimo chi è, sia pure tardi,
bisognerebbe faje... a 'gni paese
più monumenti a lui che a Garibardi.


La Dieta


Doppo che ho rinnegato pasta e pane,
so' dieci giorni che nun calo, eppure
resisto, soffro e seguito le cure...
me pare 'n anno e so' du' settimane.
 
Nemmanco dormo più, le notti sane,
pe' damme er conciabbocca a le torture,
le passo a immagina' le svojature
co' la lingua de fòra come un cane.
 
Ma vale poi la pena de soffrì
lontano da 'na tavola e 'na sedia
pensanno che se deve da morì?
 
Nun è pe' fa' er fanatico romano;
però de fronte a 'sto campa' d'inedia,
mejo morì co' la forchetta in mano!

Aldo Fabrizi

Aldo Fabrizi, all'anagrafe Aldo Fabbrizi (Roma, 1 novembre 1905 – Roma, 2 aprile 1990), è stato un attore, sceneggiatore, regista e poeta italiano. Di umile famiglia (la madre gestiva un banco di frutta e verdura a Campo de' Fiori) a undici anni rimase orfano del padre Giuseppe, morto in un grave incidente. Costretto ad abbandonare gli studi per contribuire al sostentamento della numerosa famiglia, che comprendeva anche cinque sorelle - tra le quali Elena Fabrizi, (1915-1993) in seguito soprannominata sora Lella - si adattò a fare i lavori più disparati.
Esordisce nel cinema in piena guerra, nel 1942, con “Avanti c’è posto...” di Mario Bonnard. Il successo internazionale però lo raggiunge - magistralmente diretto da Roberto Rossellini - nei panni di don Pietro, il coraggioso sacerdote che protegge i partigiani in “Roma città aperta” (1945), pellicola che rivela appieno le sue doti drammatiche. Ancora nell'ambito del neorealismo trova parti interessanti in diversi film, da “Vivere in pace” (1947) di Luigi Zampa a “Prima comunione” (1950) di Blasetti.
 Abitava a Roma in via Arezzo, nel quartiere Nomentano, nello stesso edificio dell'amica Ave Ninchi. La sua ultima apparizione in tv è nel programma G.B.Show del 1988. Si spense nella primavera del 1990, a 84 anni, pochi giorni dopo aver ricevuto un David di Donatello alla carriera. Tre anni dopo lo seguì anche la popolarissima sorella, la Sora Lella, che aveva recitato nel cinema soprattutto con Alberto Sordi e Carlo Verdone.


Aldo Fabrizi,  Dice: "Che è' che gira, la Terra intorno al Sole o il Sole intorno alla Terra?" Dico: "Boh, non c' ho mai fatto caso!"



venerdì 8 luglio 2011

Vicolo del Bologna

Il toponimo deriva dal falegname o chiavaro Alessandro detto il Bologna, perché bolognese, del Cinquecento, che prestò la propria opera per la fabbrica dell’Aracoeli. Caratteristiche alcune piccole memorie. […]

Al n. 37 vi è un mascherone con due putti ai lati su un edificio cinquecentesco con portone bugnato, ed un’edicola della Madonna. […]

Sull’edificio al n.7 vi è un’altra edicola mariana del Settecento con cherubini, con baldacchino e cupolino. Presso il n. 2 vi è il bando del 12 novembre 1735 col quale si viera di gettare immondizie nelle strade. Il testo è il seguente: «D’ordine di monsig. presidente /delle strade si proibisce a/quals.a persona di potar/ne gettare immondizie di sorte alcuna/in questo loco sotto pena di scudi/dieci d’oro e della carcerazione/dato questo di XII novembre 1735/Orsini notaro».

mercoledì 6 luglio 2011

Gianicolo

L'occupazione del Gianicolo, che la tradizione attribuisce al re Anco Marcio, era indispensabile alla difesa della città: il colle costituiva la naturale testa di ponte sulla riva destra del Tevere, di fronte al ponte Sublicio. Sul Gianicolo vennero sepolti noti personaggi: oltre al mitico re Numa, ricordiamo i poeti Ennio e Cecilio Stazio. Il colle fu sacro a Giano (donde il nome) che vi aveva istituito la sua città e vi aveva dedicati tanti altari quanti erano i mesi dell'anno. Giano, il dio bifronte, regnava, secondo la religione romana, su ogni luogo di passaggio (Giano deriva dal latino ianus, cioè porta, uscio) e, visto che il Gianicolo fungeva simbolicamente da porta della città verso l'esterno, la sua ubicazione in questo luogo è alquanto logica.Fu anche teatro degli eroici eventi che si svolsero nel 1849, quando l'esercito francese attaccò la città. I repubblicani di Garibaldi resistettero per settimane alle truppe francesi di gran lunga superiori, finché non furono sopraffatti: a ricordo di ciò, in piazzale G.Garibaldi sorge la grande statua equestre di Garibaldi (nella foto in alto), opera di Emilio Gallori ed inaugurata nel 1895. Alla base della statua vi è scritta la celebre frase "O Roma o morte".
 Secondo un'antica tradizione, il mezzogiorno viene annunciato a Roma da un colpo di cannone sparato dalla terrazza del Gianicolo.

martedì 5 luglio 2011

TRILUSSA



Celebri aforismi di Carlo Alberto Salustri




§                     Anche l'amore è un'arca  che salva dal diluvio della vita  ma a tempesta finita  non si sa mai la roba     che si sbarca.
§                     Chi a raccoglier allori non s'adopra, non può sognare di dormirci sopra.
§                     Il caso ci protegge più di qualunque legge.
§                     Lo struzzo magna più der necessario perché se crede un alto funzionario.
§                     Quando l'orgoglio pensa: – Non posso, dice: – Non voglio.
§                     Se vôi l'ammirazione de l'amichi nun faje capì mai quello che dichi.
§                     Se insisti e resisti raggiungi e conquisti.
§                     Sovrano come er popolo sovrano | che viceversa nun commanna mai.
§                     Spesso una cosa stupida si regge perché viene approvata dalla Legge.

Fontana della botte




In via della Cisterna, inquadrata in un arco di travertino, troviamo la Fontana della Botte. Il monumento idrico è formato da una base sulla quale poggia un “caratello” la cara, vecchia, botte da vino. Da un foro posto al centro fuoriesce, allegro e fresco, un fiotto d'acqua che si riversa nella vasca sottostante a forma di tino da mosto.
La botte centrale è affiancata da due misure per il vino di un litro ciascuna da cui esce acqua. La Fontana della Botte venne realizzata, nel 1927, dall'architetto Pietro Lombardi in allusione alla caratteristica di questa zona della capitale, dove pullulavano osterie e trattorie. La fontana fu commissionata all'architetto dal Comune di Roma nell'ambito di una serie di opere volte a celebrare, allusivamente, i rioni di roma e le loro caratteristiche.
Una piccola nota di curiosità, poi, ce la può fornire il modo come, a Roma, venivano chiamate le misure del vino: un decimo di litro era un sospiro o un sottovoce; un quinto di litro era, invece, chirichetto mentre un quarto era un quartino; il mezzo litro era detto fojetta; il tubbo era un litro mentre due litri di vino erano chiamati barzilai dal nome dell'On. Barzilai (1860-1939) che, durante le sue campagne elettorali era uso offrire vino.

domenica 3 luglio 2011

La corsa delle bighe a Villa Borghese di Cesare Pascarella

ER VINCITORE 

Quann'agnedi da la deputazione,
a pijà la corona e la bandiera,
avevi da sentì che sonajera 
d'applausi e si che straccio d'ovazione!

E, intanto che passavo, le persone 
(che de gente Dio sa quanta ce n'era!),
me tiraveno addosso mele, pera, 
sigheri, fiori e cocce de limone.

E io vestito da antico romano,
co' la corona d'oro su la fronte,
me facevo er mi' giro piano piano.

Stavo sur carro come er re Fetonte;
co' l'érmo in testa, co' la frusta in mano.
Parevo tale e quale Orazio ar ponte. 


ER PERDITORE 

So' 'rivato seconno, so' 'rivato!
Subito, che li possino ammazzalli,
me diedero du' capre pe' cavalli,
come avevo da fa', Cristo beato?

Fu un miracolo si nun so' restato
a mezza strada. Avevi voja a aizzalli;
ma gnente! Avevi voja de sterzalli,
d'abrivalli... Macché! Tempo buttato.

Io pe' me je lo dissi ar mi' padrone:
fatemi 'sta finezza, sor Mardura,
co' 'sti pianforti nun me fate espone.

E lui gnente. Ma intanto la figura 
chi l'ha fatta co' la popolazione?
Me viè' da piagne' come 'na cratura!

sabato 2 luglio 2011

Teatro Villa Pamphilj Estate 2011

Dal 23 giugno Villa Doria Pamphilj ospiterà l’iniziativa TEATRO VILLA PAMPHILJ - ESTATE 2011, promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico di Roma Capitale, curata dal Dipartimento Cultura Servizio Spettacolo in collaborazione con Zètema Progetto Cultura.
Una proposta che prevede moltissimi appuntamenti musicali, teatrali e di danza che avranno luogo en plein air per oltre un mese a Villa Pamphilj nell’area antistante la Casa dei Teatri, e nell’ambito della quale si svolgeranno importanti manifestazioni dell’estate romana come I Concerti nel Parco, Invito alla danza, Lucciole e Lanterne, I Classici in Villa.
tel. 060608 tutti i giorni ore 9.00-21.00
Alcune manifestazioni sono ad ingresso libero, altre con biglietto. Di seguito il dettaglio
- Banda Musicale Polizia Roma Capitale: Ingresso gratuito
- Lucciole e lanterne - Premio Rodari per il Teatro 2011: Ingresso gratuito
- I Classici in Villa: Ingresso gratuito
- I Concerti nel Parco: Ingresso con biglietto:
Poltronissime € 25,00, Platea € 20,00, Gradinata € 15,00 (Sconti: Formula 4X3 Tre biglietti interi/Quarto biglietto € 1,00)
- Invito alla danza: Ingresso con biglietto
6, 8, 12, 15, 19, 29 luglio - 1° settore: intero € 23,00 2° settore: intero € 20,00
21, 22 , 25, 26, 27 luglio - 1° settore: intero € 28,00 2° settore: intero € 25,00
- La tradizione del melodramma nell'Italia del XIX secolo: Biglietto € 10,0

La bocca della verità

 
La bocca della verita'
Gioacchino Belli
  
In d'una chiesa sopra a 'na piazzetta
Un po' più ssù de Piazza Montanara
Pe la strada che pporta a la Salara,
C'è in nell'entrà una cosa benedetta.

Pe tutta Roma quant'è larga e stretta
Nun poterai trovà cosa ppiù rara.
E' una faccia de pietra che tt'impara
Chi ha detta la bucìa chi nu l'ha detta. 

S'io mo a sta faccia, c'ha la bocca uperta,
Je ce metto una mano, e nu la striggne, 
La verità da me tiella pe certa.

Ma ssi ficca la mano uno in bucìa,
E' sicuro che a ttìrà né a spiggne
Quella mano che li nun vié ppiù via.

giovedì 30 giugno 2011

Ponte Sisto


Ponte Sisto venne ricostruito sulle rovine di un antico ponte romano, pons Aurelius, risalente al 215 d.C., ai tempi dell'imperatore Marco Aurelio Severo Antonino, che così volle unira la sponda sinistra a Trastevere: da qui si narra che venissero gettati nel fiume i primi martiri cristiani. Venne chiamato anche pons Janicularis per la vicinanza al Gianicolo. Tra il 366 ed il 367 l’imperatore Valentiniano compì il primo grande restauro e fu in questa occasione che venne eretto, all’imboccatura, un arco trionfale decorato da statue bronzee, i cui resti, ritrovati nel 1878 e nel 1892, ora sono al Museo Nazionale Romano. Crollato nel 792 a seguito di una piena del fiume, il ponte venne abbandonato e perciò denominato anche "Ruptus", "Tremulus" o "Fractus". Nel 1475, in occasione del Giubileo, Sisto IV incaricò Baccio Pontelli di ricostruire il vecchio ponte, che dal nome del pontefice prese il nome di ponte Sisto. Prima della sua costruzione, per collegare le due sponde, veniva impiegata una barca-traghetto che congiungeva anche due spiaggette: quella " Arenula" sulla riva sinistra e quella "Renella" di fronte. Nel 1599 fu restaurato da Clemente VIII, che fece rinnovare lastricato e parapetti in travertino, finché nel 1880 i lavori per la costruzione dei muraglioni ne alterarono profondamente l'aspetto, con la collocazione di parapetti in ghisa. È costituito da quattro arcate con un grande "occhialone" (come si può notare nella foto sopra) circolare sul pilone centrale, che da sempre ha funzionato da campanello d'allarme in caso di piena del fiume. L'intervento del 1877 modificò totalmente l'antico ponte mediante una sovrastruttura metallica, sorretta da mensoloni e corredata da spallette in ghisa, che ebbe lo scopo di allargarne la superficie calpestabile. Fortunatamente il restauro avvenuto per il Giubileo del 2000 ha restituto a Roma l'immagine quattrocentesca del ponte: furono così eliminate le pensiline metalliche e ripristinati i parapetti. Con una struttura in muratura di tufo rivestita esternamente da travertino, oggi il ponte, che misura 108 metri in lunghezza e 11 in larghezza, è aperto soltanto ai pedoni ed agli amanti del panorama.

martedì 28 giugno 2011

Palazzo Corsini alla Lungara




Situato nel rione di Trastevere, proprio di fronte alla Villa Farnesina, fu costruito negli anni tra il 1730 e il 1740 da Ferdinando Fuga per la famiglia fiorentina dei Corsini, rielaborando e ingrandendo la precedente villa della famiglia Riario, risalente al XV secolo.
Nel XVII secolo il palazzo era stato abitato da Cristina di Svezia, la quale avrebbe ospitato nel giardino le prime riunioni di quella che sarebbe poi divenuta l'Accademia dell'Arcadia (la cui sede è attualmente poco lontano, alle pendici del Gianicolo).
Nel 1736 l'edificio e il giardino furono acquistati dal cardinale fiorentino Neri Maria Corsini, nipote di Clemente XII, che affidò i lavori di ristrutturazione del palazzo al conterraneoFerdinando Fuga, che per il papa stava già lavorando al Palazzo del Quirinale e al Palazzo della Consulta. Fuga trasformò la piccola villa suburbana dei Riario in una vera e propria reggia, raddoppiando l'estensione della facciata e ovviando alla notevole larghezza con l'aggiunta di dieci lesene giganti, più addensate in corrispondenza dell'asse centrale. Più movimentata è la facciata posteriore, rivolta verso i vastissimi giardini, con tre corpi di fabbrica aggettanti, di cui quello centrale, occupato dal monumentale scalone, uno dei più belli di Roma, è particolarmente sporgente. Lo scalone, con le sue grandi finestre, funge anche da belvedere panoramico sui giardini, posti in pendenza sul colle del Gianicolo.
Durante l'occupazione napoleonica di Roma, il palazzo ospitò Giuseppe Bonaparte, fratello dell'imperatore.
All'interno del palazzo sono oggi collocate la Galleria Corsini (opere di Beato Angelico, Jacopo Bassano, Caravaggio, Rubens, Jusepe de Ribera ecc.) e la sede dell'Accademia dei Lincei con la relativa Biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana. Nel giardino ha sede l'Orto botanico di Roma.

lunedì 27 giugno 2011

Salita di S. Onofrio


La Salita Sant'Onofrio al Gianicolo si trova a Roma nel rione Trastevere. Non deve essere confusa con la omonima via S. Onofrio che si trova in prossimità della via Cassia.
La Salita Sant'Onofrio è una stretta strada in salita, con a tratti delle scalinate, che, fiancheggiata dall'ex palazzo Salviati, congiunge via della Lungara al Gianicolo sulla cui sommità si trova la Chiesa di Sant'Onofrio da cui la strada prende il nome. Da questa posizione si gode una vista panoramica eccezionale sul centro storico di Roma su cui in basso domina la cupola della Basilica di San Pietro.
La strada fu fatta costruire dal gerolamino Jacobelli nel 1446 per raggiungere più comodamente la suddetta Chiesa, non più eremo ma divenuta santuario difficilmente raggiungibile dai devoti, da quando il suo fondatore Beato Nicola da Forca Palena passò con i suoi compagni alla Congregazione diSan Gerolamo, fondata dal Beato Pietro Gambacorta da Pisa.
Sisto V nel 1588 elevò la Chiesa di Sant'Onofrio al Gianicolo a titolo presbiteriale e sistemò la strada che dalla porta Santo Spirito conduce a Sant'Onofrio. La strada fu poi fatta lastricare daClemente VIII nel 1600 in occasione del Giubileo con il contributo delle elemosine di alcuni fedeli, fra i quali il Cardinale Alessandro Peretti e Camilla Peretti, la potente sorella di Sisto V a cuiCastore Durante (1529-1590) dedicò i suoi due celebri libri: Herbario nuovo e Il tesoro della sanità.
Sul lato destro della Salita di Sant’Onofrio salendo al Gianicolo si trovava un tempo ilConservatorio di Santa Maria del Rifugio per le cosiddette “penitenti”. Questo Conservatorio era stato fondato nel 1703 da Padre Bussi della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. Fu trasferito dalla primitiva sede di Vicolo del Consolato dei Fiorentini nel palazzo fatto costruire dalCardinale Giori e poi acquistato come sede del luogo pio che aveva lo scopo di redimere le ex prostitute.
Al numero civico 38 della Salita di Sant'Onofrio si trova la Casa Madre della Congregazione delle Suore di Santa Dorotea dove nella Cappella è esposto il corpo incorrotto della Santa Paola Frassinetti fondatrice dell'ordine.

Torre degli Anguillara


La Torre degli Anguillara e relativo palazzo sono situati in piazza Sidney Sonnino e costituiscono un unico complesso. Nel loro più antico assetto risalgono al XIII secolo: la prima parte del fabbricato è quella sul lato verso il Tevere (nella foto sopra), nel quale è ancora riconoscibile il portico con colonne a capitelli in forma di foglie. Fu il conte Everso II a ricostruire quasi dalle fondamenta il palazzo con torre, intorno al 1455, creando, oltretutto, la parte di fabbrica su via della Lungaretta ed imprimendo ovunque lo stemma con le due anguille incrociate. Nel 1538 il palazzo passò ad Alessandro Picciolotti da Carbognano, amanuense della corte pontificia e vassallo degli Anguillara. Nel 1542 il complesso venne duramente danneggiato da un terremoto e da allora entrò in crisi. Divenne stalla, macello, cantina: prova di questo stato di degrado furono i nomignoli di Carbognano e Palazzaccio con i quali i trasteverini indicarono la costruzione. Infine, nell'Ottocento, la struttura passò ai Forti, una famiglia della borghesia trasteverina, la quale vi insediò una fabbrica di smalti e vetri colorati e la rese nota per un presepio particolarmente artistico. Nel 1887 il complesso fu espropriato dal Comune di Roma, che ne curò il restauro nel 1902 affidandolo all'architetto Fallani. Risultò una ristrutturazione un pò artefatta, specialmente nella merlatura della torre. Il portale quattrocentesco è sovrastato da una finestra con uno stemma di Everso II; una scalinata coperta conduce alla loggia ad arcate. La facciata su via della Lungaretta ha conservato le antiche finestre crociate, ma quelle centinate al pianterreno sono un rifacimento. Nel 1921 il complesso fu affidato alla "Casa di Dante", una società promotrice di studi danteschi. 

sabato 25 giugno 2011

Giggi Zanazzo


Giggi Zanazzo, all'anagrafe Luigi Antonio Gioacchino Zanazzo, (Roma, 31 gennaio 1860Roma, 13 dicembre 1911), è stato un poeta, commediografo, antropologo e bibliotecario italiano. Studioso delle tradizioni del popolo romano e poeta in romanesco, è considerato, insieme con Francesco Sabatini, il padre fondatore della romanistica. Alla sua scuola mossero i primi passi Trilussa e i più bei nomi della poesia dialettale della Roma d'inizio secolo.


Quanno ve se fanno nere l'ógna de le mano, e cciavete l'occhi sbattuti e accallamarati, e la lingua spòrca, allora è ssegno che nun ve sentite troppo pe' la quale..
Presempio, a le donne, quanno nu' stanno bbene, la féde jé s'appanna; e, ne lo spostalla un tantinèllo dar déto, ce se troveno sótto un cerchietto nero. Allora, a cchi pprème la salute, la prima cosa che ddeve fa', appéna nun se sènte sicónno er sòlito suo, è dde pijasse un bon purgante.
De tutte le purghe, la ppiù mmèjo perché llava lo stommico, sbòtta, e pporta via 'gni cosa come la lescìa, è ll'ojo de rìggine.
Quanno, sorèlla, una quarsìasi ammalatia che tte vó vvienì', trova pulito lo stòmmico, nun te pô ffa' ttanto danno nun solo, ma tte se leva d'intorno ppiù ppresto.


Da "Li quattro mejo fichi der bigonzo"

TRESTEVERINO II

Io, frater caro so’ tresteverino;
e tutto me pòi dì forché pidocchio;
quanno facevo er carettiere a vino,
l’orloggio solo me costava ‘n occhio:

marciavo che parevo un signorino!
Carzoni corti inzinent’ar ginocchio,
giacchetta de velluto sopraffino,
fibbie d’argento e scarpe co’ lo scrocchio:

er fongo a pan de zucchero, infiorato;
un fascione de seta su la panza;
e ar collo un fazzoletto colorato:

portavo tanti anelli d’oro ar deto
e catene, che senza esaggeranza,
parevo la Madonna de Loreto.

venerdì 24 giugno 2011

Americo Giuliani

Americo Giuliani, o più raramente Amerigo, (Magliano de' Marsi, 2 gennaio 1888  7 marzo1922), è stato un poeta italiano.
Poeta romanesco, ricordato per alcuni monologhi, tra i quali, il più famoso, Er fattaccio, Americo Giuliani nacque a Rosciolo, frazione di Magliano de' Marsi, nella provincia dell'Aquila. Trasferitosi a Roma ed impiegato in un botteghino del lotto, compose canzoni (versi e musica) e poesie romanesche, spesso patetiche e di presa facile ed immediata.
Malato di tubercolosi, morì, in giovane età, a trentaquattro anni.

                                                       ER FATTACCIO
(Nino, giovane operaio meccanico, ammanettato davanti al delegato, pallido,
disfatto, con voce plorante esclama
) 

Sor delegato mio nun so' un bojaccia! 
Fateme scioje... v'aricconto tutto... 
Quann'ho finito, poi, m'arilegate: 
ma adesso, pe' piacere!... nun me date 
st'umiljazione doppo tanto strazio!... 

(pausa) 

V'aringrazio!! 
Quello ch'ha pubblicato er «Messaggero» 
sur fattaccio der vicolo der Moro 
sor delegato mio... è tutto vero!! 

(pausa breve) 

No p'avantamme, voi ce lo sapete, 
so' stato sempre amante der lavoro; 
e è giusto, che, pe' questo, me chiedete, 
come la mano mia ch'è sempre avvezza 
a maneggià la lima còr martello, 
co' tanto sangue freddo e sicurezza 
abbia spaccato er core a mi' fratello. 

(pausa triste) 

Quanno morì mi' padre ero fanello... 
annavo ancora a scola e m'aricordo 
che, benché morto lui, 'nder canestrello, 
la pizza, la ricotta, er pizzutello... 
nun ce mancava mai! Che, quella santa... 
se faceva pe quattro, e lavorava... 
e la marinarella, le scarpette 
a di' la verità, nun ce mancava! 

Ho capito! Me dite d'annà ar fatto 
un momento... che adesso l'aricconto: 


Abbitavamo ar vicolo der Moro 
io, co' mi' madre e mi' fratello Giggi. 
La sera, noi tornamio dar lavoro; 
e la trovamio accanto a la loggetta 
bona, tranquilla, co' quer viso bianco, 
che cantava, e faceva la carzetta! 
E ce baciava in fronte, e sorrideva 
e ce baciava ancora e poi cantava: 

«Fior de gaggia
io so' felice sortanto co' voi due
ar monno nun ce sta che ve somija!»
. 


E mentre sull'incudine, er martello, 
sbatteva tutto allegro, e rimbarzava, 
pur'io ndell'officina ripetevo: 


«Fiorin fiorello
la vita tutta quanta, manco a dillo,
l'ho da passà co' mamma e mi' fratello»
. 

(pausa triste) 

Poi, Giggi se cambiò!!! se fece amico 
co' li più peggio bulli dell'urione 
lassò er lavoro.... bazzicò Panico, 
poi fu proposto pe' l'ammonizzione. 
De più, me fu avvisato dalla gente, 
che quanno io nun c'ero, nú' fratello 
annava a casa pe' fa er prepotente!! 
Per «garaché», ... l'amichi... l'osteria... 
votava li cassetti der comò 
e quer poco che c'era lì in famija 
spariva a mano a mano!!! Lei però 
nun rifiatava, nun diceva gnente.... 
ma nun rideva più... più nun cantava 
mì madre bella, accanto a la loggetta! 
La ruta... li garofoli... l'erbetta 
ch'infioraveno tutto er barconcino, 
tutto quanto sfioriva, e se seccava 
insieme a mamma che se consumava!! 

(pausa) 

Un giorno je feci: - A ma', che ve sentite? 
voi state male... perché nun me lo dite? 
Nu' rispose: ma fece un gran sospiro, 
e l'occhi je s'empirono de pianto!! 
Nèr vedella soffrì, pur'io soffrivo! 
ma ch'avevo da fà?... chiamai er dottore. 
Disse che er male suo era qui: 
«ner core»... 
e che 'nse fosse presa dispiacere 
se 'n voleva morì!!! La stessa sera 
vorsi parlà co' Giggi, lo trovai, je feci: 
- A Gi', mamma sta male assai ... 
nun me la fa morì de dispiacere ... 
je voio troppo bene... e tu lo sai 
che si morisse, embè... che t'ho da di'? 
sarebbe come er core se spezzasse!... 
Mentre lei, guarirebbe si tornasse 
er tempo de 'na vorta!... de quann'eri 
bono... lavoratore... t'aricordi? 

(pausa accorata) 

Giggi me fece 'na risata in faccia: 
arzò le spalle, e poi me disse: - Senti, 
senza che me stai a fa' tanti lamenti 
faccio come me pare! E poi de' resto 
si 'nte va be', nun me guardà più in faccia! 
E me lassò accusì, li sur cantone, 
cor core sfranto!! Ritornai da mamma 
e la trovai davanti alla Madonna... 
che pregava, e piagneva! Poverella... 
quanto me fece pena!! In quer momento 
per vicoletto scuro e solitario, 
'ntesi Giggi cantà, co 'n'aria bulla: 

«Fiorin d'argento
Accoro mamma e nun m'importa tanto
pe l'occhi tua ciò perso er sentimento»
. 

(con impeto) 

Allora feci: - A ma', se mi' fratello 
ritorn'a casa pe' fa' er prepotente 
ve giuro che succede 'no sfracello! - 
No... no... fijetto mio bello, 
Giggi nun è più lui... è 'na passione... 
so' l'amichi che l'hanno straportato!!! 
Me dette un bacio, la benedizione... 
e poi, più bianca assai de' la cera, 
pe nun piagne disse - Bona sera! 

(Pausa lugubre, pianissimo) 

ler'ammatina che successe er fatto, 
sarà stato... che so... verso le sette ... 
me parve de senti come 'na lotta! ... 
Mamma diceva: - A Gi'.... 'nte compromette 
co' tu fratello ... damme qui er brillocco... 
è l'urtimo ricordo de tu padre!!... 
e nun te scordà ... che so' tu' madre - 
- E che m'importa a me de mi' fratello? 
Si vò assaggià la punta der cortello 
venga pure de qua! - Mbè... fu un momento: 
sarto dar letto... spalancai la porta... 
e me metto de faccia a mi' fratello, 
co' le braccia incrociate sopra ar petto! 
In quer momento me parve de senti 'na cosa calla ... 
'na cosa calla che saliva in faccia. 
Poi m'intesi gelà! Fece - Che vôi.... - 
- Io vojo che te ne vai... 
senza che fai più tanto er prepotente 
senza che me stai a fa' tanto er bojàccia!... - 
Mi' madre prevedendo la quistione 
se mise in mezzo pe' portà la pace: 
ma Giggi la scanzò co' no spintone, 
e poi me fece: - A voi sor santarello 
ve ce vorà na piccola lezione! 
E detto questo, aprì er cortello 
e me s'avventò addosso!!!... 
Mamma se stava pe' rimette immezzo 
infrattanto che Giggi dà la botta... 
io la scanzo... ma... mamma dà 'no strillo 
e casca a longa longa... 

Detti un urlo de belva e je strillai - 
- Ah bojaccia!!!... infamone scellerato... 
m'hai ammazzato mamma!!! e me buttai 
come 'na 'jena sopra a mi' fratello: 
j'agguantai la mano ... e je strappai er cortello... 
Poi viddi tutto rosso ... e... menai... menai!!!... 

(si copre il viso con raccapriccio; ma l'eco lontano di una marcia funebre
che viene dalla strada lo riscuote: e pallido per l'emozione, balbetta)
 

Sarà mamma che passa!! 

(scoppia in un irrefrenabile singhiozzo) 

Mamma! Mamma mia! 

(poi risoluto ar delegato) 

Mannateme ar Coeli.